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Afghanistan: un paese senza pace

La vera e propria volatilizzazione in poche settimane del governo e dell’esercito afgano, con il conseguente ritorno dei talebani a Kabul, ha riportato sulle prime pagine dei giornali occidentali le vicende di questo tormentato paese dell’Asia centrale. Un paese che non ha mai avuto la stabilità tra i suoi tratti costitutivi, ma che dall’intervento sovietico del 1979 è stato martoriato da un conflitto di cui non si intravede fine e soluzione.

 Un paese senza pace

Tra le preoccupazioni che assillano i governi europei in questi giorni di fuga disordinata degli occidentali dall’Afghanistan, il rischio di una ondata di profughi simile a quella che nel 2015-2016 traversò i Balcani e il Mediterraneo è sicuramente tra le principali. Anche se, da questo punto di vista, considerando i dati disponibili la situazione del paese asiatico è in realtà preoccupante da almeno quarant’anni (Fig. 1). Il problema delle migrazioni forzate iniziò infatti a presentarsi con l’arrivo dei carri armati sovietici nel 1979 e crebbe negli anni seguenti, sino a riguardare 5,6 milioni di persone poste sotto protezione internazionale alla fine del 1989, anno del ritiro delle truppe dell’URSS. I tre anni in cui il regime di Najibullah cercò di resistere all’avanzata dei mujahiddin, sono anche quelli in cui i valori raggiunsero il massimo dell’intero periodo superando i 6,3 milioni di unità. Cifra ancora più ragguardevole se si considera che rappresentava il 47% dei 13,4 milioni di abitanti che il paese aveva, secondo le stime delle Nazioni Unite, all’inizio dell’invasione nel 1979.

La conquista di Kabul nel 1992 da parte dei mujahiddin e la proclamazione dello Stato islamico determinarono una riduzione delle persone sotto protezione, che comunque si mantennero attorno alla rispettabile cifra di 3 milioni. Su questi livelli si attestarono i valori anche nel periodo in cui i Talebani presero progressivamente il controllo del paese, sino ad occupare la capitale nel 1996. In questi anni iniziò a farsi consistente, oltre al numero dei rifugiati all’estero, anche quello dei profughi interni1. Il valore complessivo delle persone assistite dall’UNHCR dentro e fuori l’Afghanistan risalì nel 2000 e ancora di più nell’anno dell’intervento angloamericano seguito agli attentati dell’11 settembre, tanto che a fine 2001 si tornò a superare i 5 milioni di unità.   

Negli anni seguenti si è avuta una nuova riduzione dei valori, scesi a un minimo di 2,35 milioni nel 2006. Dal 2007, invece, la tendenza di fondo è stata quella di un nuovo aumento delle persone sotto protezione, anche se in alcuni anni si sono registrati cali anche di una certa consistenza. Il risultato finale è comunque un valore che nel 2019 è tornato dopo trent’anni ad approssimarsi ai 6 milioni e che a fine 2020 era pari a 5,8 milioni di unità. Una cifra che ormai vede un sostanziale equilibrio tra quanti si trovano all’estero (tra rifugiati e richiedenti asilo) e i profughi rimasti all’interno di un paese (IDP) che attualmente dovrebbe contare 38,9 milioni di abitanti.

I paesi di accoglienza

Al di fuori dell’Afghanistan, alla fine del 2020 il maggior numero di rifugiati era assistito in Pakistan (quasi 1,5 milioni), Iran (780 mila), Germania (181 mila), Turchia (129 mila), Austria (47 mila), Francia (45 mila) e Grecia (41 mila) (Fig. 2). Nel complesso i 32 paesi della UE a 28 e dell’EFTA accoglievano a quella data, tra rifugiati e richiedenti asilo, 420 mila afgani. Una cifra consistente, che rappresenta circa il 10% dei 4,2 milioni di persone sotto protezione assistite in quel momento in tutti questi paesi europei.

Il peso maggiore è evidentemente sui due paesi confinanti, dove gli afgani costituiscono la quasi totalità delle persone sotto protezione2. Un buon numero di afgani è presente anche in Turchia, in cui vanno per altro ad aggiungersi ai 26 mila iraniani, ai 167 mila iracheni e, soprattutto, ai 3,6 milioni di rifugiati siriani, per dar luogo complessivamente a un insieme di 4 milioni di persone sotto protezione internazionale. I dati mostrano però che, superati i paesi più vicini, la principale area di accoglimento delle migrazioni forzate afgane è sicuramente rappresentata dall’Europa. 

Gli arrivi in Europa

A questi livelli si è in realtà arrivati negli ultimi anni per effetto della crisi dei rifugiati del biennio 2015-2016. Secondo i dati dell’UNHCR lo stock di afgani sotto protezione nei 32 paesi europei considerati era infatti di 140 mila unità a fine 2014, arrivava a 391mila nel 2017, superava le 400 mila nell’anno seguente, raggiungeva il massimo di 429 mila nel 2019 e scendeva a 420 mila lo scorso anno. Tale dinamica appare anche dai dati elaborati dall’EUROSTAT sul flusso delle prime richieste di asilo di cittadini afgani in un paese della UE a 28 e dell’EFTA (Tab. 1). Richieste che dalle 39 mila unità del 2014 hanno raggiunto le 193 mila unità nel 2015 e quasi le 187 mila nell’anno seguente. Un afflusso di 380 mila persone che negli ultimi tre anni si è notevolmente ridotto, pur mantenendosi su livelli decisamente più consistenti di quelli registrati all’inizio dello scorso decennio. Nel 2020 gli afgani hanno presentato in questi paesi 46 mila domande pari al 9,5% delle prime richieste di asilo. La quota delle domande presentate da afgani respinte nel primo grado di valutazione appare notevole, anche se negli ultimi anni è diminuita scendendo al 40,5% nel 2020. Tali valori sono in ogni caso quasi sempre più bassi di quelli relativi al complesso delle domande, con uno scarto che nell’ultimo anno disponibile ha quasi raggiunto i 18 punti percentuali.

Gli sviluppi della situazione afgana sono estremamente incerti e il raggiungimento di una soluzione che permetta di assicurare la stabilità e la pace di uno dei paesi più poveri del mondo appare un obiettivo ben fuori dall’orizzonte scrutabile. L’esperienza passata mostra che anche nei momenti in cui il numero di persone assistite è stato più basso non si è mai scesi al di sotto di 2,6-2,7 milioni di unità. Ed ora che ai 5,8 milioni di fine 2020 si sono aggiunti i 550 mila profughi interni provocati dalle operazioni belliche di questi mesi3, appare veramente difficile poter pensare che il cambio di regime non determini un ulteriore aumento delle migrazioni forzate anche oltre il già ampio bacino delle persone che hanno collaborato con gli occidentali in questi ultimi vent’anni. Ancora una volta i disastri del “Grande Gioco” si apprestano a diventare un problema di politica migratoria da affrontare con strumenti decisamente inadeguati.


1Internally displaced persons (IDP) nella classificazione utilizzata dall’UNHCR.

2 In totale queste sono infatti 1,55 milioni in Pakistan e 800 mila in Iran.

3 UNHCR issues a non-return advisory for Afghanistan

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