Saggi

Amico degli uomini di tutti i colori

Copertina
di Daniele Archibugi

In un appassionato appello al Congresso di Vienna, l’Abate Grégoire chiese che si proibisse la tratta degli schiavi e ogni forma di discriminazione razziale. Per quanto oggi il suo ragionamento appaia ineccepibile, acquista nuovo vigore di fronte alle persistenti discriminazioni razziali. Oìra Tommaso Visone ci consente di leggere "Sulla tratta e la schiavitù degli uomini dei neri e dei bianchi"

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Stupisce sempre il vecchio e caro Abate Grégoire: membro dell’Assemblea Costituente francese già dal 1789, fu uno dei pochi che riuscì a tenere la testa attaccata al collo, passando indenne attraverso la Rivoluzione francese, il Termidoro, le guerre napoleoniche e la Restaurazione. Morto di vecchiaia nel 1831 a ottantuno anni, ha avuto il merito di prendere posizioni – sempre sagge e audaci – sugli eventi straordinari che ha potuto osservare e plasmare, quale protagonista politico impegnato nel redigere Costituzioni, iniziative legislative e azioni politiche, sempre volte a favorire la dignità umana. Insomma, un campione dei diritti umani in tutte le sue forme.

Oggi Tommaso Visone ci consente di leggere (non uso l’ipocrita formula di “rileggere”, perché sono ben pochi quelli che hanno già avuto occasione di incontrare questo testo) "Sulla tratta e la schiavitù degli uomini dei neri e dei bianchi". Nel 1815, subito prima che la battaglia di Waterloo ponesse fine alla stagione napoleonica, Grégoire chiede alle potenze europee radunate a Vienna di affrontare un tema che era stato inopinatamente accantonato. Il sottotitolo del suo breve e accorato intervento riassume la sua tesi: "Scritto da un amico degli uomini di tutti i colori". La Francia giacobina aveva, nel 1794, abolito la schiavitù e qualsiasi discriminazione nei riguardi della popolazione di colore. Già nel 1791, la rivoluzione francese aveva avuto una inaspettata eco ad Haiti con la rivolta di Toussaint Louverture. Grégoire era allora un autorevole membro della Convenzione. Come molti buoni propositi di quella stagione rivoluzionaria, la norma approvata nel 1794 sopravvisse però solo pochi anni e fu abrogata da Napoleone nel 1802.

Il quadro politico europeo era oramai del tutto cambiato nel 1815, con Napoleone al confine nell’Isola d’Elba. Potevano le vecchie e ringalluzzite potenze dell’Europa continentale ripristinare almeno alcuni diritti che la rivoluzione aveva sancito? Si poteva generalizzare quel che era già valido in Gran Bretagna, cioè proibire la tratta e la schiavitù delle persone di colore? Certamente la Gran Bretagna dell’epoca non era progressista come fantasticato nella famosa serie televisiva Bridgerton (dove duchi e regine sono di colore), ma l’Isola era certamente assai più avanti dell’Europa continentale e, soprattutto, delle proprie ex-colonie americane, dove tratta e schiavitù dominavano.

Ma questo non basta a pacificare Grégoire. Da cattolico, l’abate non lesina critiche anche alla Gran Bretagna, e nota con acume l’insostenibile differenza esistente tra i diritti riconosciuti in quel Paese alla popolazione di colore (formalmente equiparata al popolo protestante), mentre la minoranza cattolica irlandese continuava a essere insopportabilmente discriminata. L’accorato pamphlet ha un obiettivo politico specifico: richiedere al Congresso di Vienna, riunito in quei giorni, di prendere drastici provvedimenti per decretare l’illegalità della schiavitù e garantire l’uguaglianza dei diritti: “Volesse il cielo che si vedano le potenze dell’Europa d’accordo unanime dichiarare che, poiché la tratta è una pirateria, chi tenta di praticarla deve essere arrestato, giudicato e punito come un furfante, accettando come principio fondamentale la progressiva emancipazione degli uomini di tutti i colori, e vietando per sempre un commercio che ha portato tante lacrime, tanto sangue e di cui il ricordo nei fasti della storia è la vergogna d’Europa!”.

È fin troppo facile affermare che, purtroppo, il testo non ha solo un valore storico. La dignità umana e, specificatamente, della popolazione di colore, continua a essere calpestata. Come ricorda Tommaso Visone nella sua ben documentata introduzione, bisogna recuperare da Grégoire la vocazione universalistica e transnazionale. Difendere i neri era per lui assolutamente doveroso, come difendere i diritti di tutti gli esseri umani sopraffatti e discriminati. Lo si vede dalla sua stessa definizione di schiavitù: “L’arte, molto perfezionata, di asservire e di tormentare gli uomini”. Non sorprende dunque che – da pensatore cosmopolitico – Grégoire abbia ritenuto opportuno pubblicare il suo pamphlet non solo in francese, ma anche in inglese, come monito rivolto in primo luogo ai due grandi imperi coloniali europei.

Ma il raggio di azione dell’Abate non si limita all’Europa. Già nel 1809 aveva scritto un saggio,  "Della letteratura dei neri", in cui passava in rassegna le opere scritte da autori di origine africana, proprio per smentire una volta per tutte la vulgata che li voleva intellettualmente inferiori. Si premurò di inviarne una copia al presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, richiedendo che fossero loro garantiti pari diritti. In ciò riprendendo la lezione del suo amico Richard Price, di cui riporta in esergo una citazione del saggio dedicato alla Rivoluzione americana: “Se tu avessi il diritto di schiavizzare gli altri, altre persone potrebbero accampare il diritto di schiavizzare te”.

C’è da chiedersi come mai un personaggio così all’avanguardia, capace di parlare ai cuori ma anche alla testa degli individui, non è generalmente riconosciuto come maestro del pensiero e della pratica politica. Oggi, grazie a Visone, abbiamo una occasione per riscoprirlo. E di inviare un modesto messaggio anche alla Chiesa di papa Francesco: qualora ci fosse bisogno di ritracciare qualcuno meritevole di diventare beato o santo, non ci si scordi dell’Abate Grégoire.

titolo: Sulla tratta e la schiavitù dei neri e dei bianchi
categoria: Saggistica
autore/i: Henri Grégoire
curatore: Tommaso Visone
editore: Castelvecchi
pagine: 87
prezzo: € 11.50